venerdì 29 maggio 2009

Basta auto!

















Eccomi qua, a cominciare il mio blog di disoccupato cinquantenne (chissà quanti altri blog simili ci sono in rete?). E’ arrivata la crisi e sono 5 mesi che sono senza lavoro. Mi va ancora bene perché parte dei guadagni dell’anno passato me li stanno corrispondendo lentamente e con ritardo, qualcosa da parte l’avevo messo, in previsione dei tempi duri, ma soprattutto ho completamente pagato la casa dove abitiamo e non ho debiti.

Cerco di vedere il lato migliore della situazione, considerando che molti altri se la passano peggio. Sapevo che stavamo andando verso il capolinea, me lo sentivo da qualche anno, tuttavia non potevo sottrarmi alla solita routine, in un ciclo senza fine di produzione e consumo. Potevo però cercare di consumare il meno possibile sia per mettere da parte qualcosa per i tempi di magra, sia per abituarmi a quegli inevitabili tempi di magra.

Ciononostante confesso di aver consumato barili di petrolio per i miei interminabili spostamenti di lavoro. Ho odiato l’auto, un tempo fonte di piacere, da quando mi ritrovavo sempre più spesso imbottigliato nel traffico, col culo incollato al sedile, sprecando carburante e tempo ed appestando l’aria insieme a migliaia di altri fessi in scatola. Rotella di un ingranaggio perverso e tuttavia inarrestabile, che tutto ha macinato: ambiente, uomini, idee, e futuro (…)

Voi direte che grazie a quell’ingranaggio sono riuscito a crescere una famiglia con un tenore di vita sicuramente migliore di buona parte dell’umanità, ed è vero, ma non è stata una mia scelta consapevole, piuttosto mi sono trovato ad occupare un posto che era stato preparato apposta per quelli come me. Padri di famiglia, onesti lavoratori senza troppe ambizioni, che non chiedono di essere fregati né di fregare chicchessia. A dire il vero, qualche ambizione l’ho avuta anch’io, quando ho aperto una ditta in società, pesciolino in un mare di squali. Mi sono accorto di non essere tagliato per l’imprenditoria, in fondo sono un vecchio topo di laboratorio, anzi di scantinato. Il rovescio della medaglia è stato un certo grado di libertà difficilmente riscontrabile in un lavoro dipendente, però le ferie pagate, le malattie, la pensione e il minor coinvolgimento hanno un loro peso nel computo finale (…)



Ma volevo dire dell’automobile, alla quale ho finalmente rinunciato. Non sono più schiavo del traffico, non vengo più spremuto da fisco, assicurazioni, petrolieri, meccanici, vigili, autostrade e quant’altro campa e s’arricchisce sul popolo degli automobilisti. Ora mi muovo col treno, autobus, bici e gambe; ho risparmiato già un bel po’ di soldi e mi sento fisicamente meglio. Vorrei poter smettere di fumare con lo stesso piacere col quale ho rinunciato all’auto (…)
Comunque già mi sembra di sentirvi: fortunato a non dover muovere le chiappe per cercare di svoltare il pranzo o l’affitto. E’ vero, ancora non sono a quel punto, ma di questo passo lo sarò, è solo una questione di tempo. Allora sfrutto questa opportunità come una sorta di gap-year, una specie di anno sabbatico forzato, nel quale riprogettare il futuro. Forse tutti dovremmo poterci fermare un attimo a riflettere su come abbiamo vissuto, i danni che abbiamo provocato e come potremmo vivere. A meno di non credere che quel meccanismo riprenderà a girare come prima, anzi meglio di prima, come se nulla fosse successo. Forse in cuor proprio ciascuno ci spera un po’, ma è giusto una speranza.

La crisi economica ha dissolto in poco tempo una quantità gigantesca di ricchezza (50.000 miliardi di dollari?) ed altra ancora ne brucerà. Questa ricchezza che ci sembra virtuale, diviene reale nel momento in cui fondi pensione crollano e milioni di pensionati si ritrovano senza pensione, banche falliscono e piccoli risparmiatori si ritrovano senza risparmi e lo stato deve dirottare ingenti risorse verso le casse delle banche in difficoltà, sottraendoli magari dalle scuole, dagli ospedali, dalla giustizia. Pagheremo due volte il conto di questa crisi: una prima con la contrazione del reddito e la perdita di posti di lavoro e la seconda con i maggiori oneri a carico degli utenti di tutti quei servizi a cui lo stato ha distolto risorse (…)